Mantenere le promesse [I dialoghi di Confucio]

XV. – Tsŭ Kung disse: «Se uno è povero e non adulatore, se è ricco e non superbo, che cosa ne devo io pensare?»
Il Maestro disse: «Che è bene, ma non tanto quanto l’esser povero e contento, ricco e amare la moderazione[1] ».

Tsŭ Kung disse: «Nel libro dei Carmi è scritto:
«Come chi taglia e come quei che lima,
Come chi sbozza e come quei che affina»[1]

Il Maestro disse: «Ssŭ![2] con lui si può incominciare a parlare del Libro dei Carmi! richiamato a ciò che gli ho detto, egli ha compreso il senso che poteva dedurne!»[3]


[1] Questo discepolo di Confucio, Tsŭ Kung, si era ritrovato ad esser povero e dopo era divenuto ricco: è una palese allusione personale. Cfr. SHIH CHING, I, 55. Trad. di Couvreur. “ju ch’ie ju ts’o/ ju cho ju mo.”

[2] Tsŭ Kung.

[3] Facendoci una citazione appropriata.


[1] È degno di lode che un povero, per uscire dal suo stato, non si faccia adulatore e abbassi la sua anima svisando la verità, e che un ricco, non abbagliato dai suoi privilegi, non offenda la giustizia davanti agli altri uomini, facendo il superbo: ma per Confucio non basta. Egli mette ancora più su di questi due, il povero che, contento della sua povertà, non travisa il vero e il ricco che, nell’abbondanza, non smarrisce il senso della moderazione. Qui, tanto il povero che il ricco, messi al disopra della loro diversità, s’incontrano nel culto della propria anima.



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