Il quinto rischio, Michael Lewis [Einaudi, 2019]

Dopo le elezioni del 2016 che portarono all’affermazione di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti dopo Barack Obama, fu preparato, come di routine e soprattutto come previsto dalla legge, un transition team, un gruppo di dirigenti politici che nei mesi successivi alle elezioni e prima dell’investitura ufficiale del nuovo capo di Stato avrebbe dovuto garantire il corretto e necessario passaggio di informazioni e consegne alla nuova direzione politica perché potesse prendere coscientemente le sue decisioni, come da programma elettorale, sulla base di un’accurata analisi dello stato dell’arte.

Alle resistenze iniziali di Trump che riteneva questo gruppo uno spreco ed un insulto alla sua capacità manageriale (in fondo gli Stati Uniti non sono altro che un’altra azienda da gestire secondo il suo modello patriarcale e clientelare, almeno così pensava e probabilmente ancora pensa Donald), seguì un periodo di apprendimento che di fatto portò due amministrazioni totalmente differenti, quella di Obama e quella di Trump, ad incontrarsi per il passaggio di consegne in modo che nessuno avesse potuto dire di non aver rispettato le regole, di non essere a conoscenza dello stato di salute degli USA, di non “averlo detto”. Passarono però settimane e mesi prima che i principali dipartimenti (dell’agricoltura, dell’energia elettrica, della sanità, dell’istruzione…) potessero vedere un nuovo responsabile politico affacciarsi all’uscio per cominciare a prendere dimestichezza con la nuova sala di comando. In tutti i casi chi si presentò alla porta del nuovo ramo di azienda portava idee confuse e superficiali. La nuova era politica era iniziata…

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