Diario della Quarantena /26 – che mondo abiteremo quando la tempesta passerà

Yuval Noah Harari è uno storico israeliano, fra i più noti e conosciuti in questi ultimi anni. Autore di diversi libri di successo, collabora con diverse riviste di prestigio e quotidiani. Un suo articolo comparso sul Financial Times (Yuval Noah Harari: the world after coronavirus) è stato ripreso da Linkiesta, Il mondo e noi dopo il coronavirus, secondo Yuval Noah Harari.

La tesi di fondo riguarda il fatto che ogni situazione straordinaria, come quella che stiamo vivendo, implica dei cambiamenti radicali che poi rischiano di trasformarsi in ordinarietà: «Quando scegliamo tra varie alternative, dovremmo chiederci non soltanto come superare la minaccia immediata, ma anche che mondo abiteremo quando la tempesta sarà passata. Sì, la tempesta passerà, il genere umano sopravviverà, la maggior parte di noi rimarrà vivo, ma abiteremo in un mondo diverso». (Y. N. Harari)

In sostanza si tratta di ragionare se le scelte che sono state prese in queste settimane e che prenderemo a breve, quelle misure necessarie e da adottare rapidamente misure che servono a debellare un problema improvviso, entreranno a tal punto nella nostra quotidianità emergenziale da diventare strutturali. Cioè se i cambiamenti che stiamo mettendo in atto sono destinati a modificarci.

Ovviamente l’analisi si concentra su due punti fondamentali: l’individuo (privacy) e la collettività (globalizzazione).
La tutela della salute ha richiesto anche l’utilizzo di misure straordinarie che hanno cambiato la nostra vita privata, costringendoci allo stesso tempo ad essere rinchiusi in casa e raggiungibili. Fino a misure estreme, come quelle dei braccialetti o delle app che controllano in ogni momento dove siamo, oppure dove siamo se siamo contagiati. Così è accaduto in Corea del Sud o proprio in Israele. La domanda è se siamo disponibili ad accettare questi cambiamenti se in gioco ci fosse la nostra salute o la salvezza dell’intero pianeta, l’isolamento o la condivisione.

Di fronte al pericolo se sacrificare la salute o la privacy, Harari non ha dubbi: bisogna responsabilizzare il cittadino, l’individuo, e fare in modo che si controlli da solo senza

Di fronte al bivio fra l’isolamento o la cooperazione globale, Harari non ha dubbi: sono necessari protocolli condivisi che permettano la libera circolazione di professionisti capaci di portare le cosiddette good practices ovunque. Lo stare bene, la salute, il benessere devono essere un patrimonio condiviso contro ogni forma di egoismo. Anche qui parole di fiducia.

Un gran bell’articolo.

Rispondi