Il futuro è storia, di Masha Gessen [Sellerio, 2019]

Lëša, Maša, Serëža e Žanna sono nate fra il 1982 e il 1985 e si sono affacciate all’età adulta quando in Russia è iniziata l’età di Vladimir Putin. In quegli anni, alla vigilia del “nuovo corso” annunciato dalla politica del cambiamento di Gorbacëv, anche loro vivono in modo contraddittorio e profondissimamente umano quel processo di modernizzazione, mettendosi sulle spalle la responsabilità di iniziare il percorso. Sono la prima vera generazione post-sovietica, sono nate durante la perestrojka e sono vissute negli anni ’90, per questo sentono naturale il peso dell’impegno politico.

Maša è un’attivista vicina al collettivo delle Pussy Riot, fa la giornalista per l’emittente televisiva indipendente Dozd’, e collabora con Michael Chodorkovskij. Maša vorrebbe entrare a far parte dell’establishment e non si riconosce affatto nel ruolo della “prigioniera politica di professione” che l’opposizione le ha affibbiato dopo il suo coinvolgimento nel caso giudiziario a carico dei dimostranti di Piazza Bolotnaja. In quella stessa piazza il 6 maggio 2012, mentre la polizia disperde brutalmente la manifestazione, Serëza, nipote di Aleksandr Jakovlev, membro del Comitato centrale, consigliere di Michail Gorbacëv, vorrebbe esortare i compagni a proseguire la lotta, ma non ci riesce: “Per poter dire agli altri di mettere a repentaglio la propria libertà, di rischiare il carcere russo, bisognava essere senza macchia. Serëza non era senza macchia”. Žanna Nemcova, l’unica figlia di Boris Nemcov, l’ex delfino di Boris Eltsin detronizzato da Putin alle soglie del nuovo millennio, accetta di candidarsi alle elezioni amministrative nelle file dell’opposizione più che altro per accontentare il padre, senza rinunciare però ai tacchi a spillo. Ma non ha il coraggio di portare avanti quel progetto e dopo l’assassinio del padre (27 febbraio 2015), avvenuto in circostanze misteriose, sceglie la via della fuga. In America ha precedentemente trovato riparo anche, Lëša, sociologo cofondatore dell’unico istituto di ricerca russo sulle minoranze sessuali, spaventato dal clima di odio crescente nei confronti dei gay. Sono “dissidenti riluttanti” vittime della “perdita d’identità e di radici di entità senza precedenti” che è stata il crollo dell’URSS…

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