Museo del romanzo dell’Eterna (primo romanzo bello), di Macedonio Fernández [Castelvecchi 2020]

Ci vogliono 57 prologhi, diversi appelli al lettore e introduzioni varie, anche alcuni post-prologhi e note di spiegazione, per essere finalmente trasportati all’interno del romanzo, a quel capitolo primo che finalmente disvela che da lì inizierà la storia che tutti siamo curiosi di leggere: a quel punto però prevale il senso di smarrimento.

Sono passati in rassegna personaggi, idee, riflessioni, possibilità, che rendono quasi nulla la trama stessa del racconto. Un racconto che passa in secondo piano nel momento in cui siamo stati travolti da una marea di pagine di altri racconti. Che fare a quel punto? Lasciarsi andare è l’unica possibilità di fronte ad un narratore tiranno che ci ha rapiti e non ha nessuna intenzione di lasciarci andare. Né noi abbiamo la forza, e la voglia!, di cambiare strada. Sono più le teorie e le strade che si aprono, che la storia stessa. Infatti nel prologo finale (!), un ossimoro per sua natura, si svela lo scopo e la natura di tutto quanto abbiamo letto: un dispiegamento di “confusionismo” apparentemente libero e arbitrario che vuole consegnare un romanzo aperto, un libro bianco, ad altri che potranno meglio ordinare la materia intera. Il vero romanzo bisogna ancora scriverlo, magari sarà lo stesso lettore a farlo, magari non ne vale più neppure la pena perché quello che abbiamo letto ci basta o forse non ha alcun senso continuare a pensarci…

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