La scuola non è uguale per tutti

Nella giornata di ieri è stato presentato dall’Istat l’ottavo rapporto sul «benessere equo e sostenibile» (Bes) che monitora e analizza le profonde trasformazioni che hanno caratterizzato la società italiana nell’ultimo decennio, incluse quelle più recenti determinate dalla pandemia da Covid-19. Nel capitolo del volume di quest’anno dedicato a «istruzione e formazione» l’Istat evidenzia diversi aspetti e lacune del sistema formativo del nostro paese a partire dagli asili nido fino ai livelli di scolarizzazione della popolazione adulta, che pongono l’Italia ancora negli ultimi gradini del continente. Preoccupante l’incremento di coloro che non studiano e non lavorano (i neet) tra i giovani di 15-29 anni (il 23,9% di giovani nel secondo trimestre 2020, era il 21,2% nel 2019).

«L’abbandono della scuola», sottolinea ancora il rapporto Istat «è soltanto la punta di un iceberg. La difficoltà di proseguire in maniera soddisfacente il percorso scolastico e formativo inizia precocemente influenzata da alcune caratteristiche: genere, cittadinanza, condizione socioeconomica e culturale della famiglia. Le competenze inadeguate si perpetuano negli anni e influenzano la scelta del percorso scolastico, l’apprendimento e, in ultimo, la decisione di abbandonare la scuola». Una fotografia drammatica, acuitasi nell’ultimo anno, nel quale moltissimi studenti, soprattutto dei cicli scolastici superiori, sono dovuti ricorrere alla didattica a distanza.

UN’ALTRA INDAGINE, condotta dalla Fondazione Ismu (iniziative e studi sulla multietnicità) su cittadini maggiorenni stranieri delle province di Milano, Bergamo, Brescia e Cremona mette in luce quanto sia stato e continui ad essere difficoltoso per queste famiglie attrezzarsi per permettere ai propri figli di seguire le lezioni in dad. Dal campione intervistato risulta che in una famiglia su tre mancano o sono inadeguati gli strumenti tecnologici, il 27% non dispone di spazi domestici adatti e uno su cinque ha avuto difficoltà a supportare i figli nello studio.

PROPRIO GLI EFFETTI della dad sono stati analizzati anche nel libro dell’Istat che denuncia come «nonostante gli sforzi delle istituzioni scolastiche, dei docenti e delle famiglie, l’8% dei bambini e ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado è rimasto escluso da una qualsiasi forma di didattica a distanza e non ha preso parte alle video-lezioni con il gruppo classe, quota che sale al 23% tra gli alunni con disabilità». Una percentuale che, per esempio, la Fish (federazione italiana per il superamento dell’handicap) ritiene essere quasi doppia.

PROPRIO I DATI sugli effetti della dad sugli alunni con disabilità dello scorso anno scolastico, avevano portato il ministero dell’Istruzione a varare, l’estate scorsa, il «piano scuola» volto a permettere un’effettiva inclusione per questi studenti garantendo la scuola in presenza anche se la classe (o l’istituto) fosse andato in dad. Le situazioni che si erano create, con tutti i compagni in didattica a distanza e gli studenti con bisogni educativi speciali (Bes) in classe, avevano portato il ministero ad inserire, nel dpcm del 5 novembre scorso, il principio fondamentale di un’inclusione scolastica «effettiva» e non solo formale. Questo si era tradotto, nero su bianco, con la possibilità di «un coinvolgimento anche di un gruppo di allievi della classe di riferimento, che potrà variare nella composizione o rimanere immutato, in modo che sia costantemente assicurata quella relazione interpersonale fondamentale per lo sviluppo di un’inclusione effettiva e proficua, nell’interesse degli studenti e delle studentesse».

CON IL NUOVO DPCM in vigore da sabato questo non sembrerebbe più possibile, avendo «epurato» anche i figli dei cosiddetti key worker, i lavoratori essenziali, dalla didattica in presenza. La Fish sostiene però che «ammettere alla frequenza in presenza i soli alunni con disabilità e con altri Bes, non rispetti lo spirito della logica inclusiva» e ritiene che le scuole debbano garantire le «cordate educative» permettendo la presenza a scuola di piccoli gruppi di compagni.

Una scelta interpretativa che ricadrebbe sui dirigenti scolastici viste le lacune dell’ultimo dpcm di sabato scorso e che ad oggi il governo non pare intenzionato a risolvere.

Scritto da Roberto Pietrobon, Il Manifesto (11/03/2021)


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