Lapidarium, di Ryszard Kapuściński [Feltrinelli 2018]

Il giornalista non può raccontare una storia di guerra standosene seduto in una camera d’albergo o comunque lontano dal fronte: la narrazione dei fatti deve assorbirlo, deve coinvolgerlo, deve renderlo partecipe.

Per questo ci si deve buttare dentro anima e corpo, sfidando anche la sua stessa incolumità, ma la verità, il racconto, la memoria non può essere fatta attraverso interposta persona. La scrittura dei fatti non può avvenire che in diretta, a stretto contatto con tutti i cambiamenti, drastici e radicali, che lo determinano: questi cambiamenti sono a volte anche contraddittori, potrebbero anche richiedere ripensamenti e abiure. Non sono necessari grandi cause per determinarli: anche un animale domestico, un gatto, che entra in uno studio, spinto dalla sua innata ed istintiva curiosità, genera delle mutazioni nell’ambiente circostante, ci porta gioia, ci porta un qualcosa di diverso dall’ordinario, ci porta a ripensare il nostro mondo. Non sempre sono cambiamenti positivi: lo sa il gorilla nello zoo di Abu Dhabi, che, dopo un primo momento di euforia e arrabbiatura di fronte alle grida moleste dei bambini che lo prendevano in giro, si è seduto al centro della gabbia, fermo, immobile, ed è scoppiato in lacrime. Il giornalista deve essere sempre lì, deve essere capace di raccontare questi cambiamenti: “È difficile scrivere in un mondo di cambiamenti tanto drastici e radicali. Tutto ti scivola via da sotto ai piedi, mutano i simboli, i segni si spostano, i punti di orientamento non hanno più un luogo fisso. Lo sguardo di chi scrive erra in paesaggi sempre nuovi e sconosciuti mentre la sua voce si perde nel rombo della precipitosa valanga della storia”…

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