Odissea, di Nikos Kazantzakis [Crocetti 2020]

Alla fine non c’è parte del suo corpo che non sia coperta e grondante di sangue: l’Arciere ha fatto chiudere le porte e uno dopo l’altro ha passato con le sue frecce gli usurpatori.

Fatica a riconoscersi a casa, fatica a riconoscere la sua stessa moglie, Penelope, che lo ha aspettato per vent’anni. Dopo un bagno caldo, fatica anche a riconoscere i suoi vecchi vestiti. È tutto così nuovo, così diverso, non era più abituato ai lussi ed agli agi. La sera seguente riunisce i suoi familiari, la moglie, il figlio, amici e servi e, seduti davanti al fuoco domestico, nella sala del palazzo, comincia il doloroso racconto degli ultimi vent’anni di vita trascorsa fra battaglie, mostri, dèi. La sua storia meraviglia tutti, li commuove: quante disgrazie ha dovuto superare, quanto sangue, quanti morti, e poi la fame, la sete, navi che affondano come sassi in un mare capriccioso. Finché i ricordi gli pervadono le arterie, lo convincono che il suo posto non è seduto al sicuro in un palazzo, ma in mare a cercare nuove imprese. È deciso: in segreto raduna gli uomini più coraggiosi, fa preparare una nuova nave, fa razzie di cibo anche a casa sua per riempirne le stive, arma gli animi dei compagni di viaggio prospettando un nuovo vagabondaggio, l’ultimo. All’alba, dopo il canto del gallo, mentre la sua sposa e l’intera isoletta dormono ancora, la nave scivola silenziosa in acqua: la donna si alza e lo vede richiudere il portone del palazzo, solo allora si lascia vincere da un urlo straziante. Ricomincia il viaggio dell’uomo chiamato Ulisse…

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