Com’è potuto succedere

«Com’è potuto succedere? Se lo chiedono scienziati, sociologi, criminologi, psichiatri e filosofi. È colpa della genetica, dell’educazione, dell’ambiente, delle condizioni esterne, è stata una fatalità storica o la volontà criminosa dei potenti? Che cosa è stato? Com’è potuto accadere?»

«L’embrione di quel razzismo che ci pareva comico nelle esternazioni di professorucoli ciarlatani e di pseudoteorici di provincia nella Germania del secolo scorso, il disprezzo del borghesume tedesco per i “porci russi”, le “carogne polacche”, gli “ebrei fetenti d’aglio”, i “debosciati francesi”, gli “inglesi bottegai”, i “greci svenevoli” e i “cechi zucconi” – il bouquet da quattro soldi della superiorità fasulla e tronfia del popolo tedesco sugli altri popoli della terra che giornalisti e scrittori umoristici mettevano bonariamente alla berlina, d’un tratto, nel giro di qualche anno, è cresciuto da balbettio infantile a pericolo mortale per il genere umano, per la sua vita e la sua libertà, è diventato fonte di sofferenze, sangue, crimini inauditi e incredibili! Questo sì, che merita una riflessione!
Guerre come quella in corso sono tremende. Il sangue innocente versato dai tedeschi è tanto, troppo. Tuttavia, oggi come oggi parlare della responsabilità della Germania per quanto è accaduto non basta.
Oggi bisogna parlare della responsabilità di tutti i popoli e di ogni singolo cittadino del mondo per quanto accadrà. Oggi come oggi ogni singolo uomo è tenuto, dinanzi alla sua coscienza, a suo figlio e a sua madre, dinanzi alla patria e al genere umano a rispondere con tutta la forza del cuore e della mente a una domanda: che cosa ha generato il razzismo? Che cosa bisogna fare affinché il nazismo, il fascismo, l’hitlerismo non abbiano a risorgere né al di qua né al di là dell’oceano, mai e poi mai, in saecula saeculorum? L’idea imperialistica dell’eccellenza di una nazione, di una razza o di chissà cos’altro ha avuto come conseguenza logica la costruzione da parte dei nazisti di Majdanek, Sobibor, Belžec, Auschwitz, Treblinka. Dobbiamo tenere a mente che di questa guerra il razzismo, il nazismo non serberanno soltanto l’amarezza della sconfitta, ma anche il ricordo fascinoso di quanto sia facile uno sterminio di massa. E dovrà tenerlo a mente ogni giorno, e con grande rigore, chiunque abbia cari l’onore, la libertà, la vita di ogni popolo e dell’umanità intera».

Vasilij Grossman (autore di Vita e destino e corrispondente di guerra al seguito dell’Armata Rossa) così concludeva L’inferno di Treblinka, il primo reportage sui campi di sterminio all’indomani della liberazione del campo, nell’autunno del 1944.


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