L’Italia non è un Paese per stranieri, neppure se laureati

Quanto può confortarci sapere che il nostro Paese è sempre più scelto dagli studenti stranieri per iniziare, continuare o completare il loro percorso di studi universitari?

A prima vista dovremmo essere contenti perché significa che le nostre università sono attrattive e considerate un punto di riferimento nel panorama mondiale. Dopo di che, dati alla mano, ci sono diverse considerazioni da fare, a partire dal fatto che questi studenti laureati stranieri non sempre realizzano le loro aspettative e, pur in presenza di una laurea, trovano spazio nel mondo del lavoro in posizioni che mortificano il loro percorso di formazione:

nonostante un apparente 5% in più di possibilità lavorative a cui possono aspirare gli stranieri diventa sempre più difficile è possibile riscontrare una certa incoerenza fra i titoli posseduti, il percorso formativo scolastico-universitario, e la tipologia di lavoro conseguito. In particolare l’analisi sottolinea, ed è indubbiamente un passaggio culturale, che “per i laureati italiani il voto di laurea non è fortemente legato alla possibilità di accedere ad un lavoro, mentre per i laureati stranieri le probabilità di accedere ad un lavoro coerente sono più fortemente correlate al voto di laurea, anche se appare chiaro come, per tutti, il mercato del lavoro utilizzi criteri sensibilmente distanti da quelli del merito nello studio.” (p.56)

(da Articolo33)

L’ho provato a spiegare in una recensione al bel libro

La carica dei 101. Storie di transizione al lavoro di laureati stranieri
A cura di Pietro Lucisano, Andrea Marco De Luca, Irene Stanzione, Silvia Zanazzi
Con prefazione di Giorgio Alleva e postfazione di Carla Collicelli
Armando Editore, 2021

che analizza i dati relativi al successo universitario degli studenti stranieri nel periodo 2008-2018 presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Un’analisi accurata che ci mette di fronte ad una realtà spietata.

Leggi l’intera recensione su Articolo33


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