Il 1 marzo 1922 nasceva Beppe Fenoglio, testimone della seconda guerra mondiale, partigiano, scrittore in presa diretta di quei tragici eventi.
Fenoglio è poco conosciuto e apprezzato all’estero, a volte anche in Italia e rubricato, probabilmente per quello stile asciutto e apparentemente anonimo, come un semplice scrittore neorealista.
In realtà la sua macchina da scrivere, come una cinepresa, riesce a riprendere bene tutti gli stati d’animo dei corpi in battaglia.
Ne sono un esempio i racconti de I ventitre giorni della città di Alba, di cui di seguito ho abbozzato una recensione.
Fra il 10 ottobre ed il 2 novembre 1944 la città di Alba, nelle Langhe piemontesi, è prima conquistata da 2.000 partigiani, poi ripresa da 200 repubblichini. Con un accordo strappato in extremis, i partigiani lasciano uscire i fascisti e si appropriano della città liberandola dal controllo dei fascisti: entra allora nella via Maestra e nello stupore generale dei cittadini il variopinto esercito partigiano, fatto di colori diversi, di divise diverse, accompagnato e sorretto anche dalle donne partigiane, indifferenti all’ordine loro impartito di rimanere. Vogliono esserci anche loro in quel momento di gioia per una vittoria inaspettata. I partigiani, ingolositi dal successo, si appropriano delle macchine, della benzina, degli averi dei repubblichini scappati, dei loro vestiti, delle poche ricchezze. È il momento dei festeggiamenti, delle campane, dell’assalto alle case e soprattutto ai due postriboli, dove poter finalmente riassaporare altre gioie della vita. Ma non c’è tregua: nei giorni successivi da Radio Torino arrivano le avvisaglie minacciose della vendetta temuta per lo smacco ricevuto. Non è il momento di riposare, il nemico può tornare da un momento all’altro, bisogna organizzare la resistenza della città. Infuriano le riunioni, c’è anche un incontro per una soluzione ‘pacifica’ fra i gerarchi fascisti e i partigiani: i fascisti arrivano in barcone sul Tanaro, con una ostentata sicurezza che fa temere i partigiani. Ore di colloquio e poi un saluto in cagnesco: “Ci vediamo sul campo!” “Ci saremo”. Si montano le sentinelle, sono dislocati i posti di controllo nei punti nodali del campo di battaglia. Finché nella notte del 2 novembre il fronte si rompe: l’esercito repubblichino supera il ponte di corde, accerchia i partigiani che restano legati alla speranza telefonica dell’arrivo dei rinforzi, ma la battaglia infuria violenta e cruenta. Non serve che le sirene diano il segnale, perché molti dei partigiani non sono più ad Alba, sono alla fiera del paesello vicino dove si contendono qualche misero premio. E alla fine i fascisti entrano in Alba e vanno da soli a suonarsi le campane: Alba rientra nella Repubblica…
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