Julian Barnes, L’unica storia [Einaudi, 2018]

Non si tratta della solita storia di iniziazione amorosa o di romanzo di crescita. Questa volta Julian Barnes, autore fra i più prolifici del panorama romanzesco anglosassone contemporaneo, lascia che sia Paul, un giovane 19enne, a raccontare l’amore della sua vita, o la storia dell’amore nella sua vita, o semplicemente l’unica grande storia della sua vita, quella che segnerà e determinerà la lettura di tutte le altre storie d’amore.

Perché questo è il senso che dà Barnes: tutti viviamo una prima ed unica grande storia d’amore che poi cerchiamo nelle altre storie, cerchiamo di riprodurre in meglio, cerchiamo di rivivere nella sua massima forza, potenza, ma anche nella sua ossessione.

E di ossessione per questo fortissimo sentimento d’amore si consuma e muore pian piano Susan (l’enigmatica protagonista femminile del romanzo), che dopo un primo entusiasmo resta schiacciata dalla forza di un amore totalizzante, fuori dagli schemi, assoluto: l’amore che le fa distruggere un matrimonio, lasciare la famiglia, le due figlie ormai grandi, le fa vivere una situazione di rinascita nuova che però allo stesso tempo non riesce a sostenere e per questo ne muore presto.

La storia d’amore, pur nella sua asimmetria (Paul ha 19 anni, mentre Susan ne ha 48, inoltre ha un marito e due figlie) si sviluppa in qualche decennio, prima di assoluto completamento, poi di inesorabile distacco, infine di inevitabile lontananza. Paul però, pur costruendosi nuove vite, non potrà mai fare a meno della sua unica storia d’amore e quindi non riuscirà mai ad abbandonare del tutto Susan, né fisicamente né mentalmente.

Al di là di alcuni spunti ironici ed in parte irriverenti, al di là della critica alla società altoborghese inglese, della narrazione resta un retrogusto amaro che caratterizza tutte le vite vissute in modo totalizzante e eccessivo

Copertina a cura di Marco Campedelli

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