Vivevo anch’io in una città dove spuntano statue
sopra le case e al grido: “Corrompere! corrompere!”, per le strade
correva il filosofo locale, scuotendo la barbetta,
e il lungofiume infinito faceva breve la vita.
Ora, accecando cariatidi, declina il sole laggiù.
Ma coloro che mi hanno amato più
di se stessi non sono ormai tra i vivi. I cani, perduto
il contatto con l’oggetto della caccia, fiutano avanzi,
in questo simili alla memoria, alla vita delle cose. Tramonto,
in lontananza voci, grida tipo: “Vattene, mostro!”
in un’altra parlata. Ma non c’è nulla di più comprensibile.
Con la sua colombaia d’oro la laguna più bella
manda bagliori, velando la pupilla. Quando arriva
al punto in cui non lo si può più amare, l’uomo,
disdegnando di risalire a nuoto
la corrente indemoniata, si nasconde nella prospettiva.
Iosif Bordskij, Poesie italiane (Adelphi, 1996), trad. it. di Giovanni Buttafava, Serena Vitale