Invalsi ed esami di stato: quando internet concede diritto di parola a tutti, ma proprio a tutti

Il 23 luglio il Ministero dell’Istruzione ha fornito i dati dell’esito delle prove di esame di Stato, dando vita ad un ricco il tam tam mediatico di chi ha voluto commentarli.

Soprattutto i grandi esperti di politiche scolastiche, fra i quali si annovera anche Carlo Cottarelli, economista, editorialista, impiegato presso il Centro Studi della Banca d’Italia prima, presso il Fondo Monetario Internazionale dopo, incaricato, con insuccesso, anche di formare un governo nel 2018, e attualmente direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici dell’Università Cattolica di Milano, che immancabilmente, visto anche il suo curriculum profondamente legato al mondo scolastico (!!!), ha voluto dire la sua consegnando a Twitter un pensiero profondo che qui riporto: “Test Invalsi: un disastro. Ma la maturità va benissimo. Tutti promossi (la maturità di cittadinanza) e record di lodi. La % di lodi è inversamente correlata al reddito pro capite (Calabria al top, Lombardia ultima). Titolo di questa commedia: Ma non è una cosa seria (Pirandello)”.

Vero che, come diceva Umberto Eco, internet ha sdoganato tutti mettendoli in condizione di dire la loro senza contraddittorio o filtro scientifico e che non c’è nulla di male nel voler esprimere le proprie opinioni, ci mancherebbe, tuttavia bisognerebbe avere almeno un pochino di conoscenza di base di quello che si vuole commentare e soprattutto molta onestà intellettuale.

Mi soffermo sul metodo senza entrare nel merito del contenuto del messaggino: accostare in una stessa frase “test Invalsi” e “valutazione degli alunni” (esito degli esami di stato) è un errore gravissimo, l’equivalente di voler comparare le mele con le pere.
Come tutti sanno, e dovrebbe saperlo anche Carlo Cottarelli, i test standardizzati dell’Invalsi non valutano gli studenti, ma il sistema scolastico fornendo una fotografia estemporanea e momentanea di un intero percorso. Non sono perciò un monitoraggio costante dei progressi di un singolo studente, non hanno nessuna funzione pedagogica e didattica, ma sono test che misurano lo stato di salute dell’interno sistema scolastico: peraltro non sono mai somministrati agli stessi alunni negli stessi contesti classe (è vero che la classe potrebbe rimanere la stessa fra la II e la V primaria o la II e la V delle scuole superiori, ma sappiamo benissimo che gli inserimenti di nuovi alunni nel gruppo classe sono all’ordine del giorno e sappiamo altrettanto bene che il consiglio di classe, il gruppo di docenti assegnati ad una classe, varia di anno in anno).

Al contrario l’esame di Stato tiene conto dell’intero percorso, degli elementi di miglioramento, delle attività extrascolastiche, del contesto scolastico e sociale di provenienza di ogni singolo alunno: non è cioè il prodotto di un’operazione meramente matematica, ma è una valutazione approfondita di un cammino. È una valutazione dinamica, non statica; di un individuo in crescita, non di un sistema.

Del resto, la differenza fondamentale sta nel fatto che nella valutazione finale di un alunno incide la professionalità dei docenti che hanno vissuto e condiviso con l’alunno quel percorso, che conoscono quell’alunno e che sono i soli deputati a fornire una valutazione di quel percorso, e non della persona.

Qui si insinuano implicitamente almeno altri due elementi, l’uno relativo alla formazione e preparazione degli insegnanti che per gli economisti, soprattutto quelli specializzati nel taglio dei presunti sprechi nella PA, non sono mai preparati; l’altro relativo al valore legale di questi titoli di studio. Ma tralascio.

Esiste invece un problema oggettivo, che mi limito a segnalare e che entra  nel merito dell’affermazione di Cottarelli, cosa che non intendo fare, di esigibilità del diritto allo studio, di lotta alle disuguaglianze.
Per questo mi limito a riportare, sempre da un social network, Facebook stavolta, quanto rileva un pedagogista serio, Cristiano Corsini, che ha ricordato una riflessione di Aldo Visalberghi del 1977 con la quale si mettevano a confronto i risultati dei test internazionali (IEA) con l’esito degli esami di Stato, con “tre piccole differenze.
1) Visalberghi è consapevole del fatto che gli Esami di Stato sono sensibili al contesto per ragioni che nulla hanno a che vedere con “la commedia” condannata da Cottarelli.
2) Visalberghi è consapevole del fatto che senza riforme sociali ed economiche certi problemi non possono essere risolti dalla scuola.
3) Visalberghi, da pedagogista, è consapevole che la scuola può dare un contributo fondamentale.” (Corda Costa, M., Visalberghi, A. (1977). L’approccio mastery learning ed una sua prima applicazione in Italia. In “Indagine IEA e situazione italiana”, Quaderni degli annali della Pubblica Istruzione, XXIII, n. 5, pp.222-236)

Per questi motivi mettere sullo stesso piano i risultati dei test Invalsi e i risultati degli esami di Stato è una operazione priva di senso, se non quello di voler guadagnare un attimo di notorietà: non ha alcun valore scientifico, né politico, soltanto pubblicitario.

Non sono cascato nel tranello di Carlo Cottarelli, ne avrei fatto a meno. Mi piace però utilizzare questo inciampo per fornire un monito ed un invito alla società civile, dai mass media al lettore medio: maneggiare i dati è una responsabilità che va lasciata ai professionisti; distorcerli con intento sensazionalistico risponde invece ad un’operazione criminale che tende a sviare dalla conoscenza dove fa più comodo.


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