In questi giorni crescono la confusione e soprattutto il malcontento per le scelte incerte e discriminatorie che, dal Governo al Ministero dell’Istruzione, stanno accompagnando l’applicazione del DL 111/21, l’obbligo del passaporto vaccinale (green pass) per il personale scolastico.
Senza stare nel merito delle incertezze scientifiche che portano evidenze contrastanti e semplificazioni pericolose (per cui chi è vaccinato è sano e chi non lo è invece è di default malato, affermazione assurda e controversa del medico Bassetti !), sono tantissime le manifestazioni di “odio” di insegnanti vaccinati che si scagliano contro insegnanti non vaccinati.
Sono manifestazioni di bullismo che rischiano di diventare una bomba sociale di difficile gestione.
La scuola rischia di diventare un luogo di propagazione della violenza nella nostra società
Il suono della prima campanella dell’anno scolastico assomiglierà più al rullio di un tamburo di guerra invece che al trillo con cui inizia una festa, quella che conserviamo nei ricordi di adulti quando ripensiamo al primo giorno di scuola. Circola aria malsana. È quella che respiriamo da quando siamo chiamati alle armi nella guerra dichiarata fra chi è a favore dei vaccini e chi no.
Ma la scuola non è un ospedale, né tantomeno una caserma. Su un tema così delicato è un’illusione pensare di governare un’organizzazione che ogni giorno muove milioni di persone con provvedimenti slegati dalla realtà di quel che accade in classe ogni giorno. Serve altro. Serve capacità di coinvolgere e la consapevolezza degli effetti delle proprie decisioni.
Non è difficile prevedere cosa succederà quando entrando in aula dovremo affrontare Mariolino che urla contro Luisa, insultandola perché non è vaccinata (magari per ragioni sanitarie). Sarà sufficiente il tempo di un click affinché i genitori della vittima comincino a minacciare vendette reali contro chiunque: gli altri alunni, i loro genitori e, ovviamente, insegnanti e dirigente. Le parti in causa si possono invertire a piacimento: il risultato non cambia.
In classe ci sono conflitti da sempre. Fa parte del mestiere imparare a gestirli per riportare la calma. Sempre che restino entro certi limiti. Se si oltrepassa la soglia dell’ira che acceca, una scena come questa può produrre una slavina di violenza in tutta la società perché a scuola si rompe la frontiera fra virtuale e reale. Alunni, genitori e insegnanti sono abituati a litigare sui social dove per dire “non sono d’accordo con te” si scrive “sei un idiota” (quando va bene). Ma poi, per fortuna, le cose restano lì. Generalmente non sei costretto a incontrare la mattina dopo il tizio con cui ti sei azzannato online. È, invece, precisamente quel che avverrà per nove mesi a partire dal primo giorno di scuola. Al pomeriggio si litiga ferocemente online e la mattina ci si ritrova tutti tranquilli e pacificati a meno di un metro di distanza l’uno dall’altro ad ascoltare con interesse la lezione del prof.
Facile, no? Il conflitto virtuale alimenta l’aggressività distruttiva fra i corpi reali dei protagonisti, nel momento in cui si incontrano in autobus, all’ingresso della scuola, in aula o nei bagni dell’istituto. Per passare dalle parole ai fatti basterà un attimo, il tempo di un click. Appunto. Con conseguenze dirette per l’incolumità fisica di alunni e insegnanti.
In tempi normali capita di avere a che fare con un gruppo di bulli che contesta il professore. Ma è altra cosa dal dover sedare risse di bambini e adolescenti aizzati dalle famiglie, dai media, dai social, ‘contro’ l’altra fazione. Chi frequenta le partite di calcio dei propri figli e conosce gli insulti che si scambiano generosamente i genitori può avere una vaga di idea di quel che ci aspetta in classe a settembre. Non siamo preparati a quel che si sta apparecchiando.
Chi ci governa è del tutto inconsapevole della miccia che ha acceso fuori dal portone d’ingresso di ogni scuola italiana. C’è di peggio però. È ignorare l’effetto che avranno questi provvedimenti su tutta la società, non solo su insegnanti e alunni. La scuola coinvolge 10 milioni di studenti, i loro genitori sono 20 milioni, il personale scolastico è un altro milione. Senza contare fratelli, nonni e altri familiari stretti, quello che accade al mattino a scuola influisce direttamente sulla vita, sul benessere emotivo di oltre 30 milioni di persone. Più della metà del paese. Per questo la scuola rischia di diventare il luogo di propagazione della violenza nella nostra società.
Ignorarlo significa agire con la stessa incoscienza che ha prodotto, poco tempo fa, l’assalto a Capitol Hill: dove è avvenuto quel che nessuno avrebbe mai potuto immaginare. E le aule delle nostre scuole non sono certo più sicure del Campidoglio dove si è scatenato un assalto di massa innescato dai continui messaggi provocatori di quello che era il Presidente degli Stati Uniti. Peraltro generosamente aiutato in quest’opera dai media. Forse Draghi non ha il fisico di Trump, ma a forza di alimentare i conflitti interni alla società, con provvedimenti assurdi e senza la coscienza di quel che si fa, è questo il rischio che si corre.
Dobbiamo fare di tutto per evitarlo. Adesso.
(Mauro Sandrini, Esperto in formazione e neuroscienze, su Il Fatto Quotidiano)