Il libro di Simon Winchester, erudito giornalista inglese, ripercorre le tappe della genesi dell’Oxford English Dictionary, intrecciando le storie dei suoi due padri fondatori, sir James Murray (il “professore” scozzese) e William Chester Minor (il medico “pazzo” americano).
Ne esce fuori un romanzo saggio o se si preferisce un saggio romanzato a tratti un po’ pesante per chi si aspetta una scanzonata storia di apprendisti lessicografi: è la storia di un’amicizia che cerca di andare contro le barriere del carcere, della solitudine, dell’età.
Personalmente lo consiglio, perché ha un buon rigore storico/storiografico e una buona vena romanzesca. Ma soprattutto permette a chi non mastica i problemi della linguistica e della storiografia di avere un’idea di quali grandi lacune doveva colmare l’Oxford English , di come non sia per nulla facile e scontato dare l’avvio allo studio scientifico di una lingua. Abituati a Wikipedia ed ai dizionari di oggi, tutto ci sembra facile ed a portata di mano. Alla fine dell’800 non esistevano però le banche dati che esistono adesso, quindi seguire il tracciato di un lemma, di una parola era operazione che richiedeva pazienza, cura, attenzione e molta flessibilità.
Murray e Chester Minor, figure singolari, autodidatte, nevrotiche, sono stati i pionieri della lessicografia inglese ed hanno dato l’avvio ad una “scienza” sempre tanto indispensabile quanto sottovalutata.
Nella lingua c’è infatti la nostra storia, ci sono i nostri cambiamenti, ci sono le nostre abitudini: le complicazioni legate allo studio dell’evoluzione della lingua sono le stesse dello studio della nostra evoluzione.