Sono stato contattato per fare da giurato al torneo Letterario di Wimbledon organizzato da Giorgio Dell’Arti per La Repubblica. Mi è stato chiesto di fare da arbitro nello scontro fra Lessico Famigliare di Natalia Ginzburg e La ragazza di Bube di Carlo Cassola: ed ho scelto il secondo. Vi spiego perché.
Dovendo scegliere fra due romanzi coevi (La ragazza di Bube è del 1960 e Lessico Famigliare è del 1963) di autori praticamente coevi (Cassola è del 1917, Ginzburg del 1916) propendo per il primo e spiego il perché.
Rispetto la struttura iper-razionale di Natalia Ginzburg che mira a ricostruire in modo quasi linguistico e filologico l’impatto del ventennio fascista sulla sua famiglia, di origine ebraica, raggiungendo risultati che potremmo dire asettici, Carlo Cassola mette in scena tutte le contraddizioni, gli sbalzi, il caos sentimentale di due ragazzi invischiati con gli strascichi del post-guerra, con l’arrivo dell’età adulta, con le ingiustizie sociali che impantano l’Italia alla fine del conflitto.
Mara e Bube sono gli opposti di un Paese che sta ricucendo le sue ferite: in loro vive lo spirito antifascista, ma anche due visioni differenti della vita, quella di chi non ha chiuso i conti col passato e sente ancora la necessità di affrontare le giornate a cazzotti e chi invece vuole voltare pagina, pensare ad una famiglia, ad un futuro fatto di pace.
Mara, la protagonista, è un personaggio vivo e molto più fuori dagli schemi di Bube, perché sente il bisogno -pur fra le ferite inferte dal fascismo che gli ha portato via un fratello e non le ha dato un futuro di prosperità (è costretta a fare la serva e deve vivere lontano dal suo amore)- di reagire, costruire, dialogare. E’ lei la voce che stimola Bube, è lei la figlia che sostiene i genitori, è lei che elabora la distanza e trova il senso della vita.
Ci sono tratti in questo personaggio di una tragedia e di una modernità che non possono che appassionare il lettore, sospinto pagina dopo pagina a cercare con la protagonista la luce dopo il tunnel, che spingono ad accompagnarla nel lungo viaggio verso una normalità che significa equilibrio.
Cedono, questa trama e questi personaggi, all’eleganza della frase e del linguaggio: ma l’approssimazione linguistica, del tutto sconosciuta invece alla Ginzburg, conferisce alla narrazione un tratto di empatia e di coinvolgimento.