Un saggio su Mario Soldati a vent’anni dalla sua scomparsa, pubblicato in modo coraggioso da una casa editrice che non è nel vortice della grande distribuzione (Grammarò edizioni), è senza dubbio il principale motivo di curiosità. Si tratta di una curiosità ben ripagata dal momento che il lettore sprofonda a corpo morto in una produzione ritenuta marginale dalla critica militante, riemergendone con qualche pregiudizio in meno.
In realtà l’opinione che se ne ricava è totalmente differente e contraria rispetto ai cliché della critica: Soldati non è infatti autore con una storia letteraria lineare, progressiva, per cui il merito di questo breve saggio è quello di accompagnarci in un denso cammino per riscoprire l’autore, rileggerne l’opera, capirne la raffinatezza, dimostrata dalla grande stratigrafia di richiami e di fonti. L’autrice, Elisa Amadori, è una giovane (1982) addottorata, che ha incentrato i suoi studi accademici su un personaggio famoso, ma molto discusso e molto discutibile, tanto da non comparire quasi mai nei simboli letterari ed artistici del nostro ‘900, ma non per questo non apprezzato da alcuni sui colleghi contemporanei: basti la stima di Pier Paolo Pasolini e quella di Luchino Visconti. Lo smeraldo è romanzo sperimentale per molti aspetti, non nella lingua ma nella struttura, sulla quale ha sicuramente pesato la lunga esperienza sui set cinematografici. Durante quel periodo Soldati ha potuto riscrivere la produzione neorealistica e reinterpretarla secondo un linguaggio nuovo che si condensa proprio nel romanzo. Ecco perché il secondo pregio di questo saggio è la possibilità di interpretare la figura di Soldati attraverso la luce creativa e poetica de Lo smeraldo.
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