Confessioni, di Lev Nikolaevič Tolstoj [Marietti 1820, 2021]

A poco più di cinquant’anni sente che la sua vita è bloccata, senza senso: Lev Tolstoj, che ha vissuto con l’unica fede nel progresso e il mestiere di raccontare per fare sempre il meglio, per ottenere sempre di più, arriva al punto di mettere tutto in discussione, anche la sua stessa vita.

E pensa al suicidio, come unica via d’uscita. Ha tutto, ma proprio qui capisce che c’è il vuoto, nell’incapacità di desiderare altro, desiderare oltre: nulla di quello che può fare o raccontare, nulla di quello che ha visto ed immaginato con gli occhi di un uomo è sufficiente a capire il significato profondo della vita. È a questo punto che la fede nel progresso comincia a vacillare, comincia a capire che non è sufficiente: quella progressione logica di avvenimenti, quella convinzione nella propria capacità di fare non riesce a spiegare la morte improvvisa del fratello né la barbarie di uomini che giustiziano altri uomini passandoli alla ghigliottina. Si ricorda allora della sua formazione cristiana: “Sono cresciuto, invecchiato e ho guardato alla mia vita”. Uno sguardo lanciato all’indietro per ritrovare la strada, perché in fondo la vita non è riconducibile a nessuna logica né ad alcuna idea di progresso se limitata ai soli uomini, alle loro parole, ai soldi, alle ricchezze, al benessere materiale…

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