Mario Lodi e la scuola senza voti

Quando Mario Lodi consegue la sua abilitazione all’insegnamento e viene destinato alla scuola di San Giovanni in Croce (CR) nel 1948 l’Italia inizia il suo faticoso percorso di pacificazione, unificazione e ricostruzione. Dopo gli anni di carcere e di militanza antifascista, a Mario Lodi, come ad altre migliaia di maestri di nuova formazione, è affidato il compito di rimpiazzare gli insegnanti del Ventennio e dare nuova linfa al popolo italiano, non più suddito dei Savoia ma orgogliosamente repubblicano e rappresentato dalla Costituzione.

Mario Lodi è stato uno dei primi maestri della Scuola della Costituzione, laica, antifascista, popolare. Nativo di Piadena, il suo lavoro inizia nelle campagne del cremonese-mantovano, in una terra ben predisposta alle sperimentazioni che Lodi identifica nel modello di scuola cooperativa e trasmissiva messo in piedi Oltralpe da Celestin Freinet: molto ascolto, molto coinvolgimento, molti laboratori con colori, macchina tipografica, attrezzi di lavoro, molta pazienza e restituzione di una dimensione di persona ai bambini, dopo l’inquadramento snaturante della pseudo-pedagogia fascista.

Da quella prima esperienza e dagli anni successivi, fino al pensionamento del 1978 e anche dopo, Mario Lodi ha raccontato queste sue esperienze nei suoi romanzi collettivi (da Il paese sbagliato a C’è speranza se questo accade a Vho, fino a Cipì, Il corvo, Il permesso) e nelle numerosissime esperienze sul campo, con bambini, adulti, genitori, insegnanti.

Si può non essere del tutto d’accordo con alcune sue posizioni pedagogiche, parzialmente sintetizzate dall’estratto che riproponiamo di seguito, perché fortemente legate al contesto postbellico e rurale della Pianura Padana degli anni ’50, in piena fase di ricostruzione: Mario Lodi, che pensa ad una scuola aperta e esperienziale, coglie, esasperandolo, il tema della tirannia del voto come competizione estremizzandolo fino a proporne la scomparsa. Però è innegabile che per la Scuola della Costituzione, fatta di ascolto, inclusione, tempi di apprendimento, cooperazione, crescita, il suo lavoro ed il suo pensiero sono imprescindibili.

Per ricordarlo nel giorno del suo centesimo anniversario di nascita (nato a Piadena il 17 febbraio 1922 e morto a Drizzona il 4 marzo 2014), pensiamo non ci sia nulla di meglio che rileggere le sue parole, oramai mature, consegnate alla rivista Cooperazione Educativa. Si tratta di un intervento del 1974 su un tema molto spinoso, quello della valutazione degli alunni appunto e della pagella finale, molto spesso richiamato oggi anche da alcune correnti pedagogiche diversamente strutturate: queste riflessioni aiutano – quando opportunamente rimeditate – a restituire alla valutazione un significato formativo che va al di là dell’aspetto numerico della prestazione con la quale oggi si vuole inchiodare e frenare la crescita di una persona.

Ci piace rileggerle perché possano essere stimolo per le maestre e i maestri, ma anche per gli alunni ed i genitori, di oggi

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