La nevrosi del Rosatellum e il campo progressista che non c’è

In questo momento siamo vittime di un chiaro caso di schizofrenia governativa: tutti restano in carica per la normale amministrazione fino alle prossime elezioni del 25 settembre (?), che vuol dire portare avanti la cosiddetta agenda Draghi, PNRR incluso, che settimana scorsa nessuno ha voluto e che ha portato alla sfiducia, allo scioglimento delle Camere ed indizione di nuove elezioni.
Quindi sostanzialmente vuol dire che si va avanti ancora con la possibile approvazione di ulteriori riforme che servono ad attuare il PNRR, che rappresenta “il disbrigo dell’ordinario”.

Ecco, siamo l’Italia!
Vero che ci sarà il periodo di sospensione dell’attività parlamentare per ferie sostituita dalla campagna elettorale, finalmente esplicita, che porterà al voto, ma nel pacchetto dell’ordinario ci sono sicuramente interventi di riforma necessari per l’attuazione del PNRR e che non risolvono i problemi che hanno scaturito la crisi di governo, anzi rischiano di ampliarli.
Per intenderci non verranno affrontati i temi della crisi sociale tanto ribadita negli interventi avversi al programma Draghi, ma saranno promosse le tante altre riforme richieste dall’UE (e non necessarie in questo momento).
Un intervento necessario è, ma non si farà, la rivisitazione della Legge Elettorale, l’attuale Rosatellum, circondato anche di un’aura di incostituzionalità, con la quale si disegnerà il prossimo mini-Parlamento, ridotto di di 345 unità (si passa a 400 deputati e 200 senatori).
Nella riforma costituzionale era prevista e sarebbe stata necessaria una riforma elettorale, sempre rimandata,
Chiaro che questo che stiamo per sostituire è stato sicuramente il peggior Parlamento mai eletto: un’ammucchiata di parvenus, dilettanti allo sbaraglio soprattutto nelle file dei M5S, o di vecchi marpioni (vedi Salvini e Renzi, il PD continua ad essere evanescente, senza dimenticare che sta governando initerrottamente dal 5 settembre 2019, dunque ha tante responsabilità), che si è affidato per tre volte a figure esterne non elette (ma non è quello dell’elezione diretta il problema, visto che è previsto dalla Costituzione), tutte salutate come salvifiche (fino all’iperbole draghiana di 16 mesi fa), commissariandosi, paralizzandosi, lavorando per dpcm o per fiducia agli atti del governo (55 fiducie solo con Draghi).
La domanda spontanea è: cosa li manteniamo a fare i prossimi 600 deputati e senatori se non fanno il loro dovere?
Non basta avere un governo forte e stabile: prima di quello ci vuole un Parlamento all’altezza capace di esprimere un governo forte e stabile.
In questo il campo di sinistra dovrebbe muoversi fin da ora per definire un programma elettorale che non sia dettato dallo spauracchio di Giorgia Meloni prossimo presidente del Consiglio: abbiamo già visto coalizioni contro qualcuno (Berlusconi, tanto per non fare nomi) che hanno sì vinto, ma hanno vivacchiato sul filo del ricatto di partiti e partitini (una volta l’Ulivo è caduto per il voto contrario di Bertinotti, un’altra di Mastella).
La sinistra, se tale, deve esprimere un piano di governo a largo respiro che parli di lavoro non come elemosina o bonus, di emergenza energetica e climatica, non come semplice cambio di partner da cui acquistare il gas e il petrolio (non sono sfuggite le ultime visite di Draghi in Algeria), che dia risposte alla povertà dei salari, restituendo potere d’acquisto ai lavoratori dipendenti, che parli di rinnovo dei contratti e manovre espansive, che parli di scuola e sanità pubblica

Questa è la sfida, non l’alleanza effimera con Renzi e Calenda.


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