Gleba, di Tersite Rossi [Pendragon, 2019]

Gleba, quarto romanzo del collettivo Tersite Rossi, è uno spaccato feroce e apparentemente schizofrenico delle contraddizioni che convivono nella nostra quotidianità. È un romanzo anomalo, ambientato in un’epoca storica senza un preciso connotato, anche se facilmente desumibile. È un romanzo che parla di lavoro, di quanto possa essere distruttivo e di quanto possa annientare un individuo, diventando totalizzante, impadronendosi della sua dignità e della sua esistenza. È anche un romanzo che denuncia lo sfruttamento del lavoro, la mercificazione del lavoro e soprattutto la mercificazione dei lavoratori.

Per questo, andando oltre la storia, è anche un romanzo distopico che crea una nuova storia, ne determina possibili scenari del tutto immaginari, ma non troppo. È un romanzo che parla di sentimenti che non sempre si riescono a dire, che serpeggiano nell’inconscio delle persone per poi venirne a galla: e non sempre sono sentimenti positivi, anzi molto spesso si tratta di voglia di rivincita, di rivalsa, di voglia di affermarsi anche a discapito di altri. O semplicemente voglia di quella giustizia che sembra essere calpestata dalla vita stessa. È un romanzo che parla di isolamento e di incomunicabilità, quella che accomuna tutti i personaggi travolti dal loro singolo destino e per questo, anche se tutti contemporaneamente nello stesso posto, incapaci di coalizzarsi contro quel destino freddo e implacabile. Persone ridotte a gleba appunto, a schiavi di altri schiavi, a schiavi della vita. Gleba è un libro duro, costruito e liberamente ispirato a fatti e situazioni realmente accaduti, è un libro che rimodellando e rileggendo quei fatti ci parla in prima persona annunciandoci quello che la storia ancora non ci ha detto.

Nella sua crudezza, Gleba ci apre gli occhi: per questo la lettura, legata ad una scrittura molto raffinata e adattiva, risulta alla fine quasi gradevole, sicuramente catartica.

Gleba è un romanzo che va letto, assolutamente

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