Marx non russa

La guerra fa strage anche di cervelli, o forse si limita a certificarne la mancanza. Nel caso vi fossero sfuggite, segnalo due notizie da ascrivere all’epidemia di anacronistica imbecillità che va sotto il nome di «cancel culture».

La prima è che il festival di Colorado Springs dedicato alle avventure spaziali ha annullato la serata su Yuri Gagarin. Benché sia morto da quasi mezzo secolo, il vecchio Yuri deve avere fatto ultimamente qualcosa di molto grave, se persino nel pacifico Lussemburgo un suo busto commemorativo è stato coperto dalle autorità. Quantomeno, Gagarin era russo.

Ma Karl Marx? No, perché in un’università della Florida hanno tolto il nome del filosofo comunista dall’aula a lui intitolata, ritenendolo «non appropriato».

Qui l’espressione «cancel culture» va intesa in senso letterale: solo una testa da cui è stata cancellata qualunque forma di cultura, compreso il sussidiario delle medie, può collegare Marx alla Russia attuale. Tanto per cominciare Marx era tedesco e morì a Londra con la convinzione che il comunismo avrebbe attecchito ovunque tranne che a Mosca. E poi la Russia reazionaria e baciapile incarnata da Putin non è più l’Urss, di cui condivide solo la volontà di potenza e la tragica visione totalitaria dello Stato.

Serve un disarmo unilaterale della stupidità, prima che per rappresaglia — come si leggeva in un meme — Putin non decida di ribattezzare il capolavoro di Tolstoj «Operazione militare speciale e Pace». Ne sarebbe capace.

Da Il caffé di Massimo Gramellini


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