L’aumento dell’inflazione (stimata dall’Istat intorno al 7%) ripropone in modo doloroso il tema dei salari e del lavoro nell’agenda del governo come problema da risolvere. Su questo campo si confrontano forze politiche (poche idee e confuse) e forze sociali: dal salario minimo, all’aumento dei salari, alla lotta alla disoccupazione.
Nella sua rubrica su Domani, Piero Ignazi, politologo, rissume in modo lucido il problema in tre punti:
- La questione salariale è rimasta sottotraccia per moltissimi anni. La palla veniva sempre mandata fuori campo perché la precedenza spettava a flessibilità, concorrenza, competitività, produttività, globalizzazione, mercato, eccetera, eccetera.
- La triste realtà è che il processo di modernizzazione del nostro paese si è arrestato all’inizio degli anni Novanta. Il crollo dei partiti tradizionali di governo ha disperso quel poco di attenzione per gli interessi generali che comunque essi, pur con tutti loro limiti e difetti, avevano e che consentiva di tenere in carreggiata l’Italia.
- L’impoverimento dell’Italia non investe solo il piano socioeconomico. Inquina anche quello democratico. Nel suo punto più sensibile: il diritto di voto. Una imponente messe di ricerche accademiche dimostra senz’ombra di dubbio che l’astensionismo cresce esponenzialmente con il crescere della povertà.
Fuori da ogni bagarre e per evitare i soliti aiutini alle aziende che pochissimo (o nessun) impatto hanno sul reddito dei lavoratori dipendenti “Ci sono due strade e mezzo:
- innanzitutto rinnovare i contratti e, quindi, qui c’è un ruolo che devono avere anche le imprese. Per gli aumenti contrattuali non si può prendere come riferimento l’indicatore depurato dall’energia. L’aumento sia almeno collegato all’inflazione effettiva”.
- “c’è poi bisogno di agire sul fisco con una maggiore tassazione sugli extra-profitti e sulle rendite finanziarie: ci sono risorse da poter andare a prendere. Non è inoltre scandaloso affrontare questa situazione con un contributo di solidarietà, che non è una patrimoniale. Poi fare una vera e propria riforma fiscale” (è la posizione fra gli altri dell’economista Thomas Piketty!).
- “O i partiti e il Parlamento tornano a essere in sintonia con il mondo del lavoro e le persone che continuano a pagare le tasse, o altrimenti rischiano pesante: quando ormai metà dei cittadini a votare non ci va, perché non si sente più rappresentata, dovrebbe essere un campanello d’allarme per tutti”.
Così Maurizio Landini, segretario generale CGIL, a Mezz’ora in più (leggi su Collettiva).
Di fatto è impensabile uscirsene ancora una volta con la solita pasticciata riforma fiscale, fatta di sgravi alle imprese: è necessario rinforzare i salari dei dipendenti restituendo alle lavoratrici ed ai lavoratori potere d’acquisto, pensando ad un salario minimo per chi non ha copertura con contratti nazionali, quindi estendere i contratti nazionali. Serve in sostanza una redistribuzione etica e sociale della ricchezza.