Siamo in campagna elettorale, quindi tutto è permesso: ampio spazio alla fantasia, alla provocazione, alle promesse, alla propaganda. Come spesso accade, accanto ai migranti ed al fisco, l’altro tema è quello della Scuola e in particolar modo per questo giro si parla della professionalità docente (come se la scuola fosse fatta di soli docenti, ma tant’è).
All’intevento di Enrico Letta che promette aumenti stipendiali da “media europea”, seguono ora dopo ora altri interventi spesso contraddittori (mentre Simona Malpezzi [PD] si affretta a dire che bisogna eliminare l’obbrobrio del “docente esperto”, proprio oggi il ministro uscente Patrizio Bianchi [sempre PD] sulle colonne del Messaggero invece lo difende e lo rilancia). In ultimo Andrea Gavosto ricorda, a modo suo, che è necessario intervenire sugli stipendi degli insegnanti perché sono i meno pagati d’Europa (se non del mondo): beh, storia vecchia che la FLC CGIL denuncia da un decennio almeno.
Penso sia chiaro a tutti che la figura del docente esperto sia una premialità camuffata, come dimostra il fatto che a questi docenti si corrispondono dei soldi in più, ma per fare le stesse cose che facevano prima (non cambiano le competenze), dunque nulla aggiunge alla professionalità dell’intera categoria: secondo un principio ingannevole di meritocrazia, si cercano figure “migliori” da gratificare in qualche modo creando una liberistica competizione…
Ammesso che la strada sia corretta (e non lo è), quale sarebbe il giovamento complessivo del sistema scolastico?
Nullo, per due ordini di motivi:
1- si tratta di un premio individuale che prescinde dal lavoro collegiale;
2- la previsione di premialità riguarderà al massimo nel 2036 circa 32.000 docenti, che significa 3-4 docenti a scuola! In prima battuta saranno 8.000, cioè meno di 1 per scuola.
Altro discorso dovrebbe essere quello di individuare un percorso di differenziazione della carriera del docente (che non vuol dire fare graduatorie di docenti o individuare i più bravi ed i meno bravi: nella scuola la competizione non premia, e su questo ci sono pagine e pagine di bibliografia a dimostrarlo, a partire da Markovits, Sandel e Ralws), con differenze nel lavoro, nelle responsabilità, nell’orario di servizio. I riferimenti presentati da Eurydice non solo dimostrano che non esiste una strada unica, ma anche che può avere diverse forme di realizzazione.
Parliamone!
Chiaro che la formazione di base, in ingresso e per tutta la carriera, deve essere un diritto ed un dovere che però devono essere rappresentati e gestiti nell’alveo della contrattazione collettiva nazionale, così come deve esserlo un’eventuale carriera dei docenti che non può essere limitata ad un discorso di propaganda sotto l’ombrellone.
Parliamone, seriamente.
Ci vogliono soluzioni serie, condivise e discusse con la categoria e le parti sociali che la rappresentano, non con la pancia degli elettori.
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