Il faticoso e incerto avvio dell’anno scolastico sembra per il momento aver favorito l’archiviazione di una parte delle più inconsistenti e pericolose accuse verso il mondo della scuola, mosse da alcuni settori dell’opinione pubblica e del giornalismo di destra. Ci riferiamo ai commenti sprezzanti su una classe docente ritenuta ipertutelata, ipersindacalizzata, precaria per propria colpa, fannullona, analfabeta informatica e perennemente in vacanza. Continua a circolare, tuttavia, una retorica opposta, da cui occorre ugualmente prendere le distanze, che solo apparentemente sembra dare il giusto riconoscimento agli sforzi e all’impegno sin qui messi in campo dalla comunità scolastica (compreso il fondamentale personale ausiliario e amministrativo, troppo spesso dimenticato).
Si tratta di quella retorica stucchevole del professore come «missionario», disposto a fare di più del previsto senza badare a orari e stipendio; una visione, spesso purtroppo fatta propria dagli stessi insegnanti, che nei fatti ne indebolisce la funzione e l’autorevolezza. È una retorica che fa il paio con quella del personale sanitario «eroico», quasi che il lavoro inteso come «sacrificio» e dedizione estrema fossero la norma, e non una distorsione frutto del progressivo abbandono dell’istruzione e della sanità pubbliche, erose da anni di disinvestimenti.
L’immagine dell’insegnante sempre pronto a farsi carico di ogni lacuna del sistema scolastico, a immolarsi «per il bene degli studenti», corrisponde a una realtà in cui la scuola pubblica è stata indebolita non soltanto da investimenti inadeguati, ma anche da un continuo svilimento dell’autonomia professionale dei docenti e da un processo di aziendalizzazione mista a ottusa burocratizzazione.
L’insegnante a cui viene richiesto di essere perennemente disponibile verso dirigenti dal piglio sempre più manageriale e un’utenza talvolta capricciosa, l’insegnante perennemente raggiungibile da comunicazioni via email e via whatsapp, rischia di perdere di vista i suoi diritti e doveri stabiliti dalle norme e dal contratto di lavoro. La burocratizzazione del lavoro va di pari passo con l’imposizione di un modo ormai stereotipato di fare scuola e praticare la trasmissione e la condivisione del sapere, infarcito di nozioni di pedagogia e didattica astratte e completamente decontestualizzate.
Questo modello richiede un docente che diventa una sorta di factotum in grado di trovare la soluzione a qualunque problema, anche quelli che non hanno nulla a che fare con la relazione educativa, senza mai riflettere né sulle materie che dovrebbe insegnare, messe quasi in secondo piano rispetto alla forma e alle procedure, né sui reali bisogni educativi delle persone che ha di fronte.
Il risultato è dunque che alla tradizionale inadeguatezza degli stipendi si somma oggi l’alienazione del lavoro docente, che rischia di perdere del tutto autonomia e libertà creativa. In questo contesto si diffondono forme di autosfruttamento funzionali alla logica del dominio neoliberale, tanto quanto il continuo ossequio della scuola alle esigenze del mercato e alla spendibilità pratica dei saperi. Invertire questa tendenza è il compito politico di cui ciascuna persona che lavora nella scuola dovrebbe sentirsi investita. Non per un interesse corporativo, ma, al contrario, proprio assumendo il punto di vista esterno, quello dei soggetti in formazione e della società tutta.
Perché l’alternativa fra tutela dei docenti e tutela degli allievi è quanto di più falso esista. Vero è l’opposto: simul stabunt, simul cadent. L’insegnante-missionario, infatti, viene meno al dovere di essere innanzitutto un educatore alla cittadinanza, perché dimostra di non conoscere i propri diritti e di non saperli far rispettare. Si espone in fretta al burnout, all’esaurimento da stress, privandosi della lucidità e della calma necessarie per affrontare efficacemente ogni giorno le proprie classi. Perde di vista, per mancanza di tempo ed energie, cosa accade nel mondo (anche nel mondo della propria disciplina), finendo per essere molto meno aggiornato, e quindi stimolante per gli alunni. E si chiude in una sterile dimensione individualistica, alla ricerca di una impossibile risposta del singolo a problemi sistemici, quando invece è possibile soltanto «sortirne insieme» con i propri colleghi, ma anche con gli studenti e le loro famiglie.
Scritto da Manfredi Alberti e Jacopo Rosatelli su Il Manifesto