Storia del giallo italiano, di Luca Crovi [Baldini e Castoldi 2020]

Che possano essere stati Francesco Mastriani, Emilio De Marchi e Salvatore Di Giacomo i primi scrittori di testi di genere “giallo” italiani è possibile. Così come è possibile che la nascita di un romanzo popolare di atmosfere noir in Italia sia legata ad una sorta di competizione ed emulazione degli scrittori francesi autori di inizio Ottocento, dei mirabili féuilletons di enorme successo, come nel caso dei romanzi di Victor Hugo (Notre-Dame de Paris del 1831, I misteri di Parigi del 1842), ma anche dei romanzi di Alexandre Dumas (Il conte di Montecristo, 1844-45). 

Il mio cadavere di Francesco Mastriani, apparso a puntate fra il 1851 ed il 1852, ha tutte le caratteristiche per essere considerato il primo romanzo giallo italiano. Con questo lavoro, infatti, Mastriani, che con La cieca di Sorrento del 1851 già aveva iniziato a perlustrare gli ambienti criminali, mette su carta i presupposti di una prima indagine poliziesca legata alla conoscenza rudimentale di anatomia patologica. Quasi negli stessi anni Salvatore Di Giacomo con La pipa ed il boccale mette in scena racconti paurosi e straordinari anche di ispirazione carceraria, ma sarà Emilio De Marchi con Il cappello del prete (1887) a dare il via ad un genere letterario dichiaratamente incentrato sul groviglio di ragioni che dividono gli innocenti dai colpevoli, le vittime dai carnefici, mescolando con sapida accortezza gli elementi di cronaca con quelli della finzione, al fine di coinvolgere il pubblico di lettori senza annoiarlo o appesantirlo troppo. Da qui inizia la fortuna di un genere che non è facile classificare, per stile e per sfumature: dalla Sicilia di Sciascia totalmente differente da quella di Camilleri; alla Milano di Scerbanenco, ma anche di Pinketts; fino alla Napoli di Di Giacomo, ma anche di De Silva e De Giovanni. Il genere giallo si è sviluppato senza regole precise se non quelle di provare ad indagare, attraverso la finzione, gli aspetti più reali del mondo moderno…

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