A passo di donna

Qualche mese fa, un anno per l’esattezza, in occasione della scelta del Presidente del Consiglio, avevo sponsorizzato una candidatura finalmente femminile per il ruolo di capo dell’esecutivo, perché penso che sia arrivato il momento di dichiarare la sconfitta di genere e cambiare paradigma mentale: tutte le grandi potenze mondiali sono governate da uomini (Stati Uniti, Cina, Francia, Germania, Russia, Gran Bretagna …) con il risultato che siamo di fronte ad una società machista e competitiva (nel senso negativo del termine!), curvata su valori secondari e non indispensabili.
E’ di questo che abbiamo bisogno? Dubito.

E’ tempo ormai di guardare ad una società capace di prendersi cura di sé, di aiutare gli ultimi, di portare i valori della guerra in secondo piano, di un governo pratico e al contempo attento e capace di ascoltare.

I leader al maschile che si stanno susseguendo nel mondo non si dimostrano in grado di gestire la pandemia senza mescolare interessi personali e competitività fra maschi alfa, dalla visione statistica e strategica molto limitata: la stessa attuale corsa al Colle è una corsa all’accreditamento ed al posizionamento politico all’interno dei rami del Parlamento. Non a caso tutti i capi di partito, tranne l’opposizione, sono maschi.

Allora forse è una questione genetica ed antropologica: proviamo perciò a cambiare il paradigma, proviamo a superare gli stereotipi delle donne sottorappresentate e incapaci di assumere ruoli di comando, proviamo a dichiarare davvero finita l’èra dell’egemonia di un sesso sull’altro e facciamolo rendendo gli onori a chi finora non ha avuto la possibilità e l’opportunità di dire davvero la sua (le donne dell’attuale esecutivo, per esempio, sono marginali, non tutte per le loro incapacità).

Ci sono mi pare esempi positivi come la Finlandia guidata al femminile da Sanna Marin, come la Nuova Zelanda di Jacinda Ardern, o infine come l’Islanda di Katrín Jakobsdóttir.

Però quest’operazione di designazione di una donna al Quirinale deve essere un’operazione di merito e non di facciata, come si fa con gli uomini: non deve essere il frutto di un accordo sottobanco per quote e i politicamente corretti vari, ma deve essere il frutto che va a premiare effettivamente una persona capace di svolgere quel ruolo.

Dopo dovremmo essere in grado, e penso che con un esecutivo al femminile possiamo farcela!, di realizzare la parità di genere e di opportunità, oltre ogni etichetta e Ministero, oltre ogni falso programma o falsa intenzione.

Il vero cambiamento di paradigma è nel riconoscere il merito e la competenza della persona, a prescindere dal sesso, dalla razza, dall’appartenenza politica. Ce la faremo?


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