Dies irae, il giorno del narcisismo

Non deve ingannare il fatto che il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, abbia respinto le dimissioni “irrevocabili” di Mario Draghi rimandando ogni tipo di decisione al Parlamento; né deve sviare il fatto che oggi, prima alle 9,30 in Senato e poi a seguire alla Camera, dopo il discorso del premier dimissionario, Draghi appunto, si andrà ad una votazione con chiama nominale. Si tratta infatti di un regolamento di conti a tutti gli effetti con rimodulazione della maggioranza attorno al nuovo-vecchio premier che ne uscirà ancora più forte e tronfio nel suo narcisismo iperegotico.

E a quanto pare noi italiani ne abbiamo bisogno: si sono susseguiti appelli alla responsabilità da parte di forze politiche, di partiti veri e proprio, di associazioni datoriali (come Confindustria), di organizzazioni sindacali (in particolar modo la Cisl, come dimostra l’ultimo endorsement di Sbarra su Il Foglio di oggi: diversa la posizione della CGIL che ha richiamato ad una responsabilità sociale per un governo stabile che garantisca la soluzione della crisi sociale che stiamo vivendo), perfino del presidente della CRUI (!), senza contare tutti gli interventi dei sindaci italiani e, last but not least, dei leader politici mondiali che vedono nell’uscita di scena di Draghi un pericoloso assist al fronte filo-putiniano.
In realtà la conta, sicuramente già attentamente valutata e perciò attivata appunto per disinnescare la caduta di Draghi e indirizzare anche verso un rimpastino di governo, serve a celebrare il narcisismo di Mario Draghi e consegnargli ancora di più le spoglie del Parlamento commissariato ormai da inizio legislatura da riportare in pasto alle fiere straniere, ora nel Parlamento Europeo, ora nella NATO.
Tutto un trucco insomma, un coup de théâtre, per poter incoronare di nuovo e meglio il nostro salvatore, l’untissimo del signore, il deus ex machina che ci salverà.
Alla fine non si stravolgerà nulla.
La conta servirà a costruire la lista dei proscritti, ma sarà anche funzionale a delineare la campagna elettorale dei partitini usciti con le ossa rotte da questa legislatura (dagli inadeguati M5S ai confusionari leghisti, agli intrepidi piddini) in vista delle elezioni politiche del prossimo febbraio 2023.
Nessuno vuole andare alle urne adesso (a parte Giorgia Meloni che da quattro anni svolge il comodo compito dell’opposizione imbelle), perché nessuno è politicamente pronto.
Più che politica, questa è la stagione del politichismo degli inetti legati alle scragne.
Ma non tutti hanno fatto i conti con il dies irae, il giorno della conta.


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