Probabilmente non se l’aspettava Albert Camus di diventare, a poco meno di trent’anni, il filosofo dell’esistenzialismo, il profeta dell’assurdo, uno scrittore di grido e già di fama. Del resto non gli interessa neppure diventare uno scrittore, la sua è una vocazione da artista della vita: ‘noi, artisti incerti di esserlo, ma sicuri di non essere altro’.
Perché pensare è un’esigenza, pensare oltre ogni schema e schematismo una necessità di vita. Aveva provato a spiegare che ‘Sartre è esistenzialista, e il solo libro di idee che ho pubblicato, Il mito di Sisifo, era diretto proprio contro i filosofi detti esistenzialisti.’ Invece pare proprio che quello è il suo destino, quello di mettere insieme tutti gli aspetti più contrastanti del viaggio chiamato vita: “Agli ideologi chiede di amare gli uomini prima delle idee, a chi odia loda la gratitudine, ai fanatici di ogni sponda ricorda la dolce indifferenza del mondo. Perché “di questo mondo è il mio regno”. L’unico suo interesse è la vita: non ha brama di essere ricordato come un eroe, ma come uno spirito libero, capace di sfidare il pensiero denigratorio e falso della società parigina e ogni limite o divieto da esso imposta. Non a caso morirà sfidando la velocità della vita sfilando silenziosamente sull’asfalto bagnato dalla pioggia. La sua stessa vita è il suo insegnamento ed il suo testamento…