1970, di Henrique Schneider [Red Star Press 2022]

Si può dire che Raul è un impiegato modello, tranquillo e onesto, anche di gran cuore. Forse fin troppo ingenuo o sprovveduto con le donne se ancora, dopo tre mesi, si ritrova a pensare a Sonia che l’ha lasciato di punto in bianco.

In una di quelle giornate come tutte le altre gli capita di incrociare e scontrarsi con un ragazzo che indossa una camicia rossa, come quella che ha lui indosso: sembra una cosa normale in una società caotica in cui il ritmo della vita è sempre frenetico. Invece passano pochi secondi e Raul è travolto dalla furia di due poliziotti che lo malmenano e lo caricano su una macchina. All’inizio non capisce affatto quello che sta succedendo, anzi: solo quando gli tolgono il cappuccio e si ritrova in una cella puzzolente con un tappetino lercio comincia a realizzare di essere vittima di un rapimento. Non riesce a darsi pace, chiede chiarimenti, chiede spiegazioni, ma riceve soltanto percosse, violente, ingiustificate; subisce umiliazioni, i suoi aguzzini gli ringhiano di confessare, di dirlo chiaramente che è un comunista di merda. Non ci vuole molto a guadagnarsi la libertà, gliela promettono a suon di botte secche e decise: sono queste le uniche risposte che riesce ad ottenere. E si sente sempre più impotente, perché lui non è un comunista, non si è mai interessato di politica in modo attivo, non ha mai manifestato alcuna idea politica, figurarsi delle idee sovversive. Eppure si trova catapultato in un incubo che sembra non finire. Nella cella cala il buio, si spegne ogni luce, non c’è sole. Intanto fra pochi giorni si giocherà la finale di coppa del mondo di cui il Brasile sarà protagonista.

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