Etichette di destra: dopo i meritevoli, ecco i fragili ed i vulnerabili.

Dopo aver lanciato l’anatema del “merito”, la Destra al governo impone, con un passo indietro di 5 anni, l’etica dell’inviolabilità dei confini: ricordate la storia di Carola Rakete, comandante della nave Sea Watch, bloccata a largo di Lampedusa dal ministro dell’Interno Matteo Salvini (oggi alle Infrastrutture)? Ecco, la storia si ripete a pochi giorni dall’insediamento del governo di Destra-Centro, con tutta la retorica ideologica dei “confini” e della “sicurezza” nazionale.

Stavolta però si fa addirittura peggio.
Stavolta, per decreto, si chiede alla nave Humanity 1, a cui è stato concesso di far sbarcare i “fragili” edi i “vulnerabili”, ma negato di dare terra ferma sotto i piedi a 35 persone.
Cioè la Destra decide che bambini e donne possono sbarcare, mentre gli uomini sani devono rimanere in balìa delle onde.
Assurdo! Non mi stupisce la miscela di ignoranza e codardìa di chi ha paura del migrante, ma pensare che un uomo sano che è stato costretto a lasciare il suo Paese, ha perso tutto, ha probabilmente lasciato i suoi affetti al pericolo nella prospettiva di costruirsi una speranza in una terra straniera per poter soccorrere poi un giorno i suoi cari rimasti al di là del mare, pensare che questi esseri umani non solo siano un pericolo, ma siano anche “forti” e “invulnerabili” è folle e assurdo. Ed ancora una volta il passaggio culturale è determinato da un pericoloso smottamento del campo semantico.

Appartiene alla retorica vuota del forte con i deboli, di chi promette la flat tax per lasciare che i ricchi si arricchiscano indisturbati mentre i meno ricchi si devono spoporzionatamente addossare lo Stato Sociale [di cui beneficiano ovviamente anche i più ricchi], o di chi ritiene che gli studenti siano selezionati in base al merito ed ai talenti per avviarli ai posti di controllo o alle catene di montaggio.

A questa idea di determinazione dall’alto delle vite degli altri, a quest’idea di sovranità e supremazia di una vita su un’altra, a quest’idea di autarchica autosufficienza, bisogna assolutamente ribellarsi contrapponendo una visione collettiva: questa è la realizzazione del “non disturbiamo chi vuole fare” del discorso programmatico di Giorgia Meloni.

Non esiste soltanto un problema europeo di solidarietà nei confronti dei migranti (definito in modo freddo e terribilmente burocratico come “distribuzione delle quote di migranti”), esiste invece un problema geopolitico determinato dalle responsabilità mai assunte dai Paesi cosiddetti civili che, assecondando le loro mire colonialiste, hanno deturpato negli anni le terre di altri continenti, depredandole delle risorse naturali e delle ricchezze culturali, e continuano a farlo indisturbati. Di questo bisognerebbe discutere, delle cause di queste migrazioni, che non sono vacanze o viaggi premio, delle guerre che ancora oggi l’Europa e gli Stati Uniti sostengono nel continente africano ed in quello asiatico per meri interessi utilitaristici.

A questo dobbiamo ribellarci: al fatto che gli esseri umani siano considerati merci di cui ci si permette di rimandare indietro un “carico residuale”; al fatto che un uomo che ha venduto la sua vita ad uno scafista sia considerato “forte” ed “invulnerabile”.

Non servono soltanto appelli ed indignazione, serve un’azione politica degna di questo nome, che azzeri le discriminazioni e le disuguaglianze e che si interroghi seriamente e criticamente sull’utilità collettiva del suo operato.
Diversamente abbiamo già superato il limite verso l’autodistruzione.


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