Tomás Nevinson, di Javier Marías [Einaudi 2022]

Tutto sta a fare il primo passo, poi si resta inevitabilmente invischiati fino al collo in una storia che avremmo voluto volentieri evitare. Quando riceve la telefonata di Tupra, il suo ex capo dei servizi segreti di Sua Maestà, Tomás Nevinson sa che non c’è nulla di gradevole ad aspettarlo.

Ritornato a Madrid dopo diversi anni di anonimato, in cui doveva essere creduto morto perfino dalla sua famiglia, perfino da Berta che, come lui, sa che le spie prima o poi devono sparire, Tomás è reticente ad un nuovo incarico: sperava di esserne venuto fuori, sperava di poter ricucire una vita con la sua Berta, di poter mettere una pietra sul passato, quel passato che non poteva raccontare, ma di cui comunque Berta non gli chiedeva nulla. Tuttavia sa che quando i Servizi chiamano, bisogna farsi trovare pronti: non importa se ci si è congedati, i Servizi vengono prima di tutto. La scena del suo incontro con Bertram Tupra è un classico di ogni storia di spie: l’appuntamento è su una panchina fredda in un parco di Madrid (il fatto che Tupra si fosse addirittura spostato per incontrarlo gli dava la misura di quanto fosse importante la faccenda), il 6 gennaio 1997. Tomás ha ceduto per cortesia, sapendo, come gli aveva confermato Bertram, che avrebbe potuto lasciar perdere, ma con la certezza che questo non sarebbe stato possibile. La missione in fondo era semplice: scovare una terrorista dell’IRA, mezza irlandese e mezza spagnola, rintanata in un paesino basco, e ucciderla. Ma non è mai semplice uccidere, soprattutto uccidere una donna: del resto la sua educazione non lo prevede…

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