Il custode delle parole, di Gioacchino Criaco [Feltrinelli 2022]

Il lavoro nel call center è più uno sfruttamento che un lavoro: precario, sottopagato, noioso, ricattabile. Se non fosse per Caterina, Andrìa sarebbe già andato via da quel posto, da quella lingua di terra che ha di bello il mare, dove continuano a sbarcare disperati dall’Africa, e le montagne minacciose ed incombenti dell’Aspromonte.

Andrìa vive con la madre e la nonna, perché il padre è morto nel deserto libico qualche decennio prima. C’è poi un vecchio nonno, di cui Andrìa porta il nome, che vive sulla montagna: fa il pastore e solo di rado, per lo più di notte, ritorna a valle. Il rapporto col nonno è molto teso: Andrìa sa che gli deve tutto delle sue radici e gli deve molto della sua formazione, ma non vuole seguire quel vecchio pazzo fra i monti, badare alle pecore, alle capre, alle mucche. Andrìa vuole la compagnia, vuole divertirsi, vuole soprattutto capire qual è il suo posto nel mondo e, ad oggi, sa che non è per sempre in un call center e non è soprattutto isolato fra i monti. Conosce le parole di grecanico che il nonno usa per parlare con la montagna, con Mana Gi, la terra che ha dato origine a tutto; conosce anche gli usi ed i costumi dei pastori, come mungere gli animali, lavare e tosare le pecore, come preparare formaggi e ricotte. Da bambino è rimasto spesso col nonno fra quelle montagne a dialogare col silenzio e con se stesso. Ma non intende restare lì. Ha provato a lasciare quei posti, ma adesso non può farlo senza la sua Caterina, che dall’Alsazia è ritornata indietro, al contrario di molti suoi amici che sono partiti e non sono più tornati. In fondo è contento che il nonno abbia trovato un aiuto in Ydir, il giovane libico che Andrìa ha salvato dall’ennesimo naufragio di un barcone della speranza portandolo a casa sua per dargli la possibilità di riprendersi e riprendere il suo cammino. Tutto però cambia quando una mattina, come spesso accade, scopre che il call center ha improvvisamente chiuso senza preavviso…

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