La Spagna dichiara fuorilegge il precariato

C’era una volta José Luis Zapatero (primo ministro spagnolo dal 2004 al 2011: ritirate le truppe dall’Iraq, legalizzazione dei matrimoni omosessuali, regolarizzazione dei clandestini, trattative con l’ETA …) oggi c’è Pedro Sanchez: entrambi esponenti del partito socialista spagnolo (PSOE), entrambi capi di governo illuminati e con uno sguardo preciso e concreto al sociale.

Grazie all’azione di governo portata avanti dal ministro del lavoro, comunista!, Yolanda Diaz [per intenderci l’omologo del nostro Andrea Orlando] la Spagna dichiara illegale il ricorso reiterato a contratti a tempo determinato.

L’operazione, sancita dal Real Decreto-Ley 32 del 28 dicembre 2021, prevede:

1) Restrizione del ricorso ai contratti a termine, che in Spagna- primadellacrisipandemica – toccavano la quota del 22,3% del totale contro una media dell’Unione Europea del 12,8% e italiana del 13,4% (dati 2019 della Commissione Europea: Employment and Social Development in Europe, 2020);
2) Adeguamento delle regole del contratto collettivo, che in Spagna è densamente regolato per legge;
3) Garanzie per chi lavora in appalto e in subappalto;
4) Predisposizione di un meccanismo permanente idoneo a evitare che le crisi si tramutino immediatamente in licenziamenti: qualcosa di paragonabile alla Cassa integrazione guadagni italiana.

Yolanda Diaz ha dato particolare rilievo alla Direttiva europea 70/1999 che prevede tre possibilità per evitare l’abuso dei contratti a termine:

a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei contratti (lasciando, secondo l’interpretazione prevalsa, libertà di stipulazione per il primo contratto precario);
b) fissazione di una durata massima totale dei vari contratti successivi;
c) limitazione del numero dei contratti.

Per questo in Spagna il contratto di lavoro si presume a tempo indeterminato e potrà avere un termine solo per circostanze produttive o sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto. Il contratto a termine, poi, non può durare più di sei mesi (o un anno se previsto dal contratto collettivo): se si superano i 18 mesi di lavoro su 24, anche con contratti diversi, il lavoratore passa a tempo indeterminato.

In Italia, dopo gli interventi della Fornero (2012), di Renzi (2014) e del Conte2 (2019), i dati ci dicono che nei primi nove mesi del 2021 il ricorso ai contratti a termine è aumentato, tanto che le stabilizzazioni rispetto allo stesso periodo del 2020 le assunzioni a tempo indeterminato sono cresciute solo del +8%, mentre sono molto di più le varie forme precarie, che hanno costituito quasi il 70% delle assunzioni dei primi nove mesi del 2021 (fonte: Inps, Osservatorio sul precariato, nonché un articolo de Il Fatto Quotidiano, a firma Marco Barbieri, del 10 gennaio 2022.

Potere del Governo dei Migliori!


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