La più grande disgrazia del dottor Lunfardo, in arte Don Fifi, è aver vinto un Premio Strega per un romanzo che non ritiene affatto essere il suo capolavoro. Del resto il suo sogno era ed è quello di diventare un cantante.
C’è sempre del falso nella scrittura, nei romanzi, soprattutto nella percezione che la gente ha dei romanzi e degli scrittori, osannati sempre ma ignorati nella loro umanità. Il suo esilio volontario in un paesino sul lago di Garda gli permette invece di essere ben più vicino a quella varia umanità da cui tanto cerca di fuggire. La provincia, quella sbiadita dei laghi d’inverno, è ricca di storie e di figure che sembrano uscite da romanzi, più che dalla vita reale. Fra tutte sicuramente spicca Patrizia, bellissima donna che Lunfardo accompagna sulla tomba di Mussolini a Predappio e che poteva vantare una madre ballerina, e non solo, per le truppe tedesche della Wehrmacht. Patrizia è una bellissima mora, forte di carattere, e ce ne vuole per guidare un sidecar sulle curve del lago o sulla strada fra Milano e Segrate in pieno traffico per riportare sano e salvo a casa Lunfardo. Patti ha i modi spicci e non esita a sparare un unico colpo di pistola alle gomme del loro pulmino degli stagisti che si prendono gioco di Don Fifi, rintanato nel fondo del sidecar. Con la stessa pistola, una Derringer calibro 6, il Pucci, all’anagrafe Evelino Pucciansky, si toglie la vita: una domenica mattina, davanti al sagrato, la cosparge interamente di cioccolato, se la ficca in gola come ultimo gesto di piacere e dolore, quindi spara: fra le sue dita serrate la foto della Patti nuda, stretta per non doversene più separare…
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