Tutto inizia quando l’adolescente Vitaliano ha bisogno di una bicicletta nuova: non può certo competere con i suoi coetanei se la sua bicicletta ha ancora la canna. È un modello da donna, non a caso è la bicicletta di sua sorella, è lenta, è pesante, non c’è gara. Ne va della sua dignità.
Ce l’ha fatta, il padre si è convinto: parlerà con un suo amico e sicuramente troverà una soluzione. Su queste premesse, il giorno prestabilito esce col padre e inforca la strada a destra, quella verso il ciclista di fiducia, già prefigurandosi il modello che avrebbe scelto, quello che avrebbe lasciato ben indietro i suoi amici. Dopo pochi passi il padre lo richiama, perché ha sbagliato lato: doveva andare a sinistra. Ecco che si ritrova in un’officina, ma non è quella del ciclista, bensì quella dell’amico del padre, un fabbro che produce mangiatoie in metallo per animali. Cosa c’entra con la bici? C’entra, c’entra, perché a casa non ci sono i soldi per quei lussi, se vuole la bicicletta deve guadagnarsela col sudore della fronte, con la fatica del lavoro. Si fa così nell’operoso Nord-Est, dove la vera ricchezza degli uomini e delle donne è il loro lavoro, magari sfruttato o in nero, ma l’unica condizione dell’umanità. Un lavoro che spersonalizza. All’inizio dell’estate ha il libretto di lavoro, che però gli servirà soltanto per regolare eventuali infortuni, dal momento che comincia la sua avventura nel lavoro nero, quel lavoro fatto non solo di fatica, ma di assenza di diritti, ferie, permessi. L’alternativa è tornare a scuola, ma di fare il geometra proprio non ha voglia. Così cede alla tirannia del lavoro, di qualunque tipo, di qualunque forma, anche quello meno nobile del ladro e dello spacciatore, il più pericoloso forse. Perché la libertà e l’indipendenza passano dalle tasche dei pantaloni, da quanti soldi si hanno nel portafoglio. Ma gli piace così, o comunque deve farselo piacere…
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