Russki Mir: guerra o pace?, di Mikail Shishkin [21lettere 2022]

Se per capire l’indole del popolo russo si volesse risalire agli albori della Federazione Russa di oggi, ex URSS di ieri, ex Impero zarista, probabilmente gioverebbe non poco ricordare l’origine vichinga dei primi insediamenti e la dominazione mongola successiva per avere la certezza che si tratta di un popolo che ha da sempre avuto bisogno di una guida decisa, anche sanguinaria, ma sicuramente autoritaria.

La geografia non premia, infatti, la Federazione Russa che si estende per decine di migliaia di chilometri e mette insieme culture, tradizioni, etnie differenti, a volte in contrapposizione fra di loro: la presenza di un centro forte aggregante è sempre stato un tratto caratteristico della storia russa, tanto quanto l’insofferenza per gli Zar, unico catalizzatore capace di tenere tutto sotto controllo e far sviluppare, anche se in modo diseguale, le potenzialità di quelle terre e di quel popolo. Però peggio di quell’insofferenza c’è stata soltanto la delusione per la finta opzione democratica seguita alla Rivoluzione d’ottobre del 1917 e, soprattutto, per la dissoluzione dell’URSS che ha portato i comunisti a svestire, in poche ore, l’abito del rivoluzionario per indossare quello del banchiere corrotto. La fine della Repubblica Sovietica, decretata da Gorbaciov, non ha determinato la tanto sospirata affermazione di una democrazia aperta e non totalitaria, ma ha portato soltanto l’affermazione di altro caos, altra corruzione, altri disordini. Perché Gorbaciov è stato uno zar con la z minuscola, incapace di orientare l’indole del popolo russo, comunque incline ad atti di eroismo e di giustizia, troppo ricco di personalismi centrifughi. Si tratta infatti di un popolo generoso e ospitale, aperto, che però ha bisogno di affidarsi ad una guida per gestire al meglio i periodi di pace, più che quelli della guerra…


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