Sovietistan – un viaggio in Asia centrale, di Erika Fatland [Marsilio, Feltrinelli 2019]

L’area molto vasta che dai Carpazi e dal Mar Caspio arriva fino all’Oceano Pacifico può essere definita genericamente Asia Centrale, ma in realtà la zona può essere circoscritta a cinque stati (Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan e Kazakistan) abbastanza recenti perché effettivamente nati soltanto dopo la caduta dell’Unione Sovietica.

Un europeo che desidera visitarli passa attraverso la porta di Istanbul, dall’aeroporto Atatürk, cerniera fra Occidente e Oriente, convinto di trovarsi di fronte uno dei tanti mondi russi, mentre in realtà è catapultato in regioni che ancora oggi vivono sospese fra il passato e l’avvenire. Ashgabat, la prima capitale del Sovietistan, è una città che brilla di marmi italiani, costruita per lo più da architetti giapponesi e francesi, con una luce simile alla neve sulle montagne. Peccato che qui si tratti invece di cattedrali bianche, in mezzo alla polvere. Dentro questi palazzoni quasi del tutto vuoti, infatti, ci sono i cimeli di storie secolari; fra le persone c’è ancora il sospetto della dissidenza. Ma non si è mai soli a girare per le strade, perché enormi ritratti dei nuovi presidenti campeggiano ad ogni angolo, dove prima c’erano le bandiere rosse. Sono luoghi fragili, che un terremoto ha raso al suolo ma che stancamente l’apparato burocratico sovietico ha ricostruito secondo i soliti cliché. La gente passa per strada nei veli e nei vestiti di un’epoca andata, convinta che sta preparando un domani diverso e più prospero…

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