La guerra non ha il volto di donna, di Svetlana Aleksievič [Bompiani 2017]

Quando si va al fronte si perde la propria umanità: un civile impiega mediamente tre giorni per imparare a diventare un buon soldato. Vale per gli uomini, vale anche, soprattutto, per le donne.

Così non è strano vedere emergere in una donna la freddezza e la determinazione di uno killer spietato: è a capo di un piccolo gruppo di alcuni altri ragazzotti quando si imbatte in un quattro soldati tedeschi; li fanno prigionieri, ma non è il momento di fare prigionieri e quindi, sapendo di non poter contare sul sangue freddo dei suoi compagni, è la donna a freddare i quattro soldati nemici. Non fa neanche scalpore ritrovare tanta sete di vendetta in una donna che gode nel vedere uccidere lentamente chi aveva ammazzato senza pietà sua madre, sua figlia ed i suoi cari. La guerra trasforma l’anima, non genera atti di eroismo, ma di sopravvivenza. Una madre è capace di far annegare il suo neonato se piange troppo rischiando di far scoprire i fuggitivi. Una donna vive ogni momento con enorme disagio umano: perde la sua femminilità, perde la regolarità del suo corpo, perde la gioia di costruire una famiglia, ha una sensibilità scossa e umiliata. Nella fine di un conflitto, entrando a Berlino, non riesce ad assaporare il piacere della fine della tragedia, non pensa al matrimonio: ha bisogno di tempo per ricostruire la sua vita e la sua anima. Ha bisogno anche di quarant’anni per poter far riemergere il fiume di tragedie che ha sconvolto la sua esistenza…

Continua a leggere su Mangialibri


Sei d’accordo con quello che ho scritto? Lo trovi interessante? Hai idee diverse? Condividile commentando qui sotto. Grazie


Resta aggiornato.
Hai mai pensato di iscriverti alla mia newsletter?

Processing…
Success! You're on the list.

Rispondi